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IL RIPUDIO DELLA GUERRA
Pietro Pergolari
26 Agosto 2024
Può essere utile riflettere anche su un tema attuale e drammatico: la guerra. Ho trovato materiale interessante in un incontro del 2003 sull’art.11 della nostra Costituzione e le implicazioni che Barbara Spinelli sulla “Stampa” esprimeva così: “La guerra non si accampa dunque dinanzi a noi come una prospettiva futura, è il nostro presente e lo spazio che noi abitiamo”. Forse può essere utile anche oggi, riprendere le riflessioni di alcuni saggi in quell’incontro, per evitare il rischio di imparare a convivere, quasi fosse normale, con la guerra, ora come allora.
Il seminario, coordinato da Franco Monaco, un parlamentare cattolico, registrava il contributo di Leopoldo Elia, un giurista di valore universalmente riconosciuto, che ricordava come il testo dell’art.11 della Costituzione, approvato con poche modifiche quasi all’unanimità dall’Assemblea (solo 2 voti contrari) derivasse dalla proposta del deputato Giuseppe Dossetti ai lavori della Commissione per l’Assemblea Costituente.
Per un lungo periodo, ricordava Elia, anche in considerazione dello Statuto dell’ONU, è prevalsa una interpretazione restrittiva dell’art. 11, consentendo solo la violenza armata in legittima difesa, per respingere attacchi armati in atto e non quelli previsti, solo per il territorio italiano e non per altri stati.
Poi si constatò che occorreva tener conto anche della nostra adesione all’ONU, poi degli obblighi di cui all’art 5 del trattato NATO.
Dopo l’11 settembre 2001 gli USA assunsero regole per le quali ogni intervento antiterroristico, anche mediante guerra contro gli Stati, fosse considerato difensivo e mai preventivo; la legittimazione mediante delibera dell’ONU perdeva il valore assoluto e vincolante.
Leopoldo Elia ritenne legittimo rimettersi alle determinazioni dell’ONU, purché anche in quella sede non si cercasse di legittimare una guerra di aggressione.
Il costituzionalista Massimo Luciani nell’incontro propose, dato che la sovranità degli stati era di molto diminuita, una interpretazione del concetto di guerra diversa da quella del passato: il terrorismo internazionale, anche se non assimilabile agli stati, può essere combattuto e la guerra preventiva, seppure limitata alla difesa, può essere legittima.
In ogni caso, il Prof. Luciani affermava, è comunque pericoloso parlare di guerra a difesa dei diritti umani, dato che ogni popolo ha diritto di disporre di diritti umani che possono non coincidere con i nostri.
Dopo il crollo del muro di Berlino l’alleanza oltre al compito originario ha assunto anche quello della gestione di qualunque crisi attraverso l’utilizzazione della forza militare; da qui gli interventi nei Balcani.
C’è stata una evoluzione anche nel modo di interpretare le missioni; negli anni 90 l’unico ente riconosciuto come capace di legittimare una missione armata era l’Onu, ma nel 99 in occasione della guerra del Kosovo, gli Usa e alleati intervennero senza l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, con l’esplicita motivazione che l’autorizzazione non ci sarebbe stata. Dopo il Kosovo la NATO si è ritenuta competente anche per interventi fuori del territorio dei paesi membri, poi fu accettata l’idea che la Nato disponesse, in determinate condizioni, della capacità di legittimare da sola le proprie azioni.
Gli Usa si sono posti come custodi della pace, capaci di decidere l’attuazione del diritto internazionale senza autorizzazione delle Nazioni Unite, forti della propria superiorità assoluta in termini di sistemi d’arma capaci di distruggere le reti di comunicazione del nemico e vincere senza rischiare la vita dei propri soldati, visto che erano restati unica superpotenza; il crollo dell’Urss aveva di fatto creato il superamento del fattore precedente di conflitto; dopo l’attacco alle torri gemelle si aggiunse la difesa dal terrorismo.
Il Prof. A. Colombo, ordinario di relazioni internazionali e studi strategici dell’Università di Milano faceva rilevare che negli ultimi 10 anni (si era nel 2003) i paesi industrializzati hanno aumentato enormemente il ricorso alla forza; lo hanno fatto anche quei paesi che in passato lo consideravano inimmaginabile, come la Germania, che ha addirittura modificato allo scopo la propria Costituzione, come l’Italia che dal 1991 è stata coinvolta in una serie di interventi fino ad allora ritenuti impensabili.
Le minacce non potevano essere individuate in anticipo e quindi diventava necessario colpire prima che esse si manifestassero: la guerra preventiva.
Le Nazioni unite non riuscivano più ad essere concretamente operative; se si muovevano lo facevano dopo l’intervento degli USA; da sole non erano efficaci.
Man mano si indeboliva il concetto di sovranità nei confini del territorio dello Stato, si invocava il diritto di intervento per il rispetto dei diritti umani, ma non si risolveva il dilemma su chi determina l’uso della forza autorizzata dal diritto? Chi, il più forte?
Anche il confine tra stati democratici capaci di sovranità e dello ius belli e gli altri rischia di trasformarsi nel confine tra cittadini a pieno titolo e Stati paria.
Ora, lo scenario politico mondiale è profondamente cambiato. Gli USA non sono più riconosciuti unico custode della situazione internazionale, altri soggetti sono emersi con forza e si pongono come protagonisti sulla scena mondiale, gli stessi Usa non riescono più a fermare Netanyahu, né ritengono utile trattare con chi può determinare la pace violata in Ucraina e intanto mezzi armati si muovono nelle aree più infocate. La guerra è nel nostro quotidiano. Ma l’Art. 11 della Costituzione è ancora vigente e non può essere modificato da accordi internazionali; la convivenza impone ovunque il dialogo che, in passato, quando è stato ritenuto utile, è stato sperimentato, sembra anche con Bin Laden.
Anche all’interno della società, nei popoli, dove prevale la cultura dell’uno contro tutti, dove sembra che solo il mercato possa dare soddisfazioni all’individuo, naturalmente se ha i mezzi per comprare, senza costruire con l’altro e non nonostante l’altro non c’è speranza di un futuro migliore.