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Disinnescare la retorica della violenza in politica
Alvaro Bucci
Pubblicato sulla Gazzetta di Foligno del 17 ottobre 2024
“Disinnescare la retorica della violenza in politica” è il titolo dell’editoriale dell’ultimo numero della rivista Aggiornamenti sociali a firma del suo direttore Giuseppe Riggio. Si tratta indubbiamente di un messaggio il cui contenuto intende offrire indicazioni volte a fronteggiare uno scenario di politica allarmante. Una situazione di allarme che riguarda, nello specifico, le democrazie occidentali che hanno dovuto fare i conti con la violenza presente nella società e a cui hanno cercato di dare risposte proprie e originali, partendo da una lettura delle cause che possono scatenarla.
Tra le soluzioni emerse, il direttore Riggio ne ricorda alcune: “Innanzi tutto, l’elaborazione del concetto di Stato di diritto come criterio fondamentale nell’azione politica, quale presidio a difesa dei diritti civili, politici e sociali dei cittadini secondo una visione garantista dello Stato. Poi la scelta del meccanismo della rappresentanza parlamentare, ampliatasi progressivamente attraverso l’estensione del diritto di voto a fasce sempre più ampie della popolazione, e il riconoscimento e il sostegno da parte dello Stato ai corpi intermedi, a quelle espressioni organizzate della società civile, che rendono possibile la partecipazione dei cittadini alla vita politica”
Per Riggio, la violenza che si riscontra in democrazia, in particolare nella politica, rappresenta la manifestazione di un malessere con una radice più profonda: “l’esclusione o l’irrilevanza, oggettive o percepite, in cui alcune fasce della società si sentono confinate quando si tratta di affrontare le questioni che riguardano la vita pubblica”. E se in politica la dimensione conflittuale è intrinseca, “occorre – puntualizza Riggio – individuare gli strumenti opportuni perché non deflagri in violenza”.
La scelta delle democrazie è stata di dotarsi di strumenti che favoriscono un’ampia partecipazione individuale e collettiva, come ricordato in precedenza. Per cui la costruzione progressiva delle istituzioni democratiche è avvenuta non ignorando la violenza, cercando di comprenderla per dare una risposta che non fosse a sua volta violenta come quando si fa ricorso a politiche repressive.
Tra le cause dei molteplici episodi in cui oggi il dissenso politico si traduce nel ricorso alla violenza, secondo l’analisi di padre Riggio, vi è “il radicarsi di una polarizzazione estrema del dibattito politico e sociale: assistiamo a una conflittualità sempre più esasperata tra le parti in gioco (siano i partiti o i rappresentanti di categorie), a scontri in cui le barriere ideologiche, talora funzionali alla protezione di interessi di parte, rendono impossibile qualsiasi forma di dialogo”.
Tra le conseguenze della polarizzazione, osserva ancora padre Riggio, vi è il ricorso a un linguaggio belligerante nella retorica delle parole e delle metafore impiegate, incentrato sulla dialettica “noi-loro”, sull’esasperazione delle differenze per dipingere chi ha posizioni diverse come un nemico con cui non si può venire a patti.
“Lo sdoganamento della violenza a livello verbale nei discorsi ufficiali - aggiunge infine Riggio - facilmente si traduce in una legittimazione dei comportamenti violenti nella quotidianità. Così la violenza finisce per essere considerata l’unico linguaggio a cui ricorrere per farsi ascoltare, per far valere – o meglio imporre – il proprio punto di vista”.
L’analisi fin qui riportata può ben riferirsi alla situazione che attualmente si sta vivendo nel nostro Paese. La violenza verbale è dilagante specialmente sui social, soprattutto da parte dei sostenitori dei leader della compagine governativa. Non appaiono disponibili ad alcuna forma di confronto/dialogo e manifestano scomposte reattività a qualsiasi cenno di critica, preferendo insulti e minacce.
Significativo il caso della richiesta di condannare Matteo Salvini a sei anni di carcere che ha scatenato una valanga di insulti social sui tre pubblici ministeri che hanno sostenuto l’accusa nel processo di Palermo per la vicenda Open Arms.
Non sono mancate minacce dal contenuto pesantemente intimidatorio, anche di morte in alcuni post che includevano le foto dei tre magistrati.
Ma non mancano nemmeno episodi di violenza fisica che debbono registrarsi, da tempo, nella società (L'assalto alla sede della CGIL compiuto il 9 ottobre 2021 a Roma da alcuni partecipanti della manifestazione No Green Pass e da alcuni esponenti del partito neofascista Forza Nuova, nonché l’aggressione, il 21 luglio scorso, subita dal giornalista de La Stampa Andrea Joly da parte di un branco di militanti di Casa Pound ) e purtroppo, di recente, anche nell’ambito delle nostre Istituzioni (rissa scoppiata, il 12 giugno scorso, nell’emiciclo di Montecitorio in occasione della discussione sul ddl Autonomia durante la quale il deputato del Movimento 5 stelle, Leonardo Donno, è stato aggredito e picchiato da colleghi della maggioranza. Un irresponsabile sdoganamento della violenza fisica).
Si configura così un’idea della vita politica molto lontana dalla tradizione democratica, che non lascia spazio al rispetto tra quanti intendano diversamente esprimersi o agire politicamente. E a fare le spese di questo scenario è la democrazia, quale forma di governo che abbiamo scelto in Occidente.
Non aiuta certamente a “disinnescare” l’attuale compagine governativa, lontana dal praticare quell’arte del governo che “richiede un esercizio continuo di mediazione per ricercare il bene comune”, come evidenzia il padre Riggio.
Ne è prova la legge sull’Autonomia differenziata, approvata caparbiamente dalla maggioranza governativa senza tener alcun conto dei pareri negativi della quasi totalità delle realtà rappresentative del nostro Paese, compresi i Vescovi italiani. E l’elenco sarebbe lungo. Si aggiunga, infine, una visione delle Istituzioni pubbliche, considerate più come strumenti di potere da occupare che non al servizio di tutti i cittadini. Tutti elementi che chiaramente non inducono ad una serena convivenza tra i cittadini.