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Cattolicesimo e cultura
Alvaro Bucci
Pubblicato sulla Gazzetta di Foligno del 15 settembre 2024
Da qualche mese il quotidiano Avvenire sta pubblicando una serie di interventi nel quadro di un dibattito su “Cattolicesimo e cultura” avviato dal teologo Pierangelo Sequeri e da Roberto Righetto, coordinatore della rivista “Vita e Pensiero”. Sono intervenuti dal mese di febbraio, tra gli oltre trenta, Forte, Petrosino, Spadaro, Lorizio, Giovagnoli, Possenti, Alici, Ornaghi, Cacciari, Vigini, De Simone, Bruni, Riccardi.
Don Pierangelo Sequeri, a conclusione del suo percorso, per dieci settimane su Avvenire, “in cerca dei segnali che orientano la fede dentro la cultura di questo tempo nel quale vediamo prevalere fattori di incertezza che sembrano scoraggiare l’esperienza del credente”, propone, sempre sulle pagine di Avvenire dell’11 febbraio scorso, una riflessione sulla “Chiesa in uscita”. “Una Chiesa in uscita – esordisce - è una Chiesa che in qualche modo esce dalla sua comfort zone: non si identifica con le sue abitudini domestiche, depone la sua preziosa veste da camera, non parla una lingua comprensibile solo a quelli che sono di casa”, aggiungendo che “Di certo, se esce con tutti i suoi paramenti addosso, non esce veramente: allarga la sua tenda familiare, invade un territorio alieno, presidia un avamposto di occupazione. Insomma, ristruttura il suo interno, magari per renderlo più spazioso e accogliente, ma non esce realmente dalla sua autoreferenzialità”.
La priorità, nella logica attuale della missione, secondo Sequeri, va riconosciuta nella generosa disseminazione di discepoli che siano all’altezza dei luoghi “dove si formano i nuovi racconti e paradigmi” (Evangelii gaudium, 74).
Non si tratta del coraggio di predicare su uno sgabello in Hyde Park la notizia della Risurrezione di Gesù. “Si tratta della determinazione – puntualizza Sequeri - di abitare, senza agitare rosari e sventolare bandiere, l’umano che è comune: con speciale amore per gli “scartati” dall’accumulazione del sapere, del potere, delle ricchezze della Terra, che è di Dio prima che di chiunque altro”.
Andando avanti nella riflessione, don Sequeri pone una serie di domande, qualcuna retorica, a volte fornendo risposte tra loro alternative e talvolta lasciandole aperte.
“I discepoli del Signore, ai quali è ora affidata la dispersione secolare delle moltitudini senza forma e senza forza, non dovrebbero portare la genuina vitalità di questa fede sapienziale nello spazio dell’umano che è comune?”, è una di queste significative domande. E ancora “Possiamo essere abbastanza generosi da non reinvestire tutto su di noi – ad intra – il patrimonio di vocazioni e di dedizioni che lo Spirito suscita fra i credenti che hanno conosciuto il Signore?” o forse “stiamo pensando anche noi secondo la prospettiva mondana di quel patetico dogma liberistico del trickle-down secondo il quale l’accumulo di ricchezza della élite possidente accresce automaticamente il potenziale drop-falls della sua redistribuzione alla moltitudine dei meno abbienti?”. Ed ha concluso che “La Chiesa è per l’uomo, non l’uomo per la Chiesa”.
Roberto Righetto, che è stato anche caporedattore cultura di Avvenire dal 1988 al 2016, intervenuto di seguito alla riflessione del teologo Sequeri, sulle stesse pagine di Avvenire, riferendosi alle parole del cardinale Zuppi che, in una intervista a Civiltà cattolica, aveva onestamente ammesso come oggi l’apporto dei cattolici al mondo della cultura, per quanto «prezioso», faccia «molta fatica a trovare delle modalità espressive», osserva che tali parole “dovrebbero sollecitare i cattolici italiani, e quelli impegnati nel mondo della cultura in particolare, a farsi protagonisti di una forte azione per combattere il grave analfabetismo religioso della nostra epoca. Non ci si può però accontentare di richiamare la secolarizzazione, o quella che i sociologi ormai chiamano la post-post-secolarizzazione, che ha corroso profondamente il tessuto culturale del popolo italiano, ma anche quello dei credenti e dei praticanti”.
Per porsi come segno di contraddizione, come lo erano le prime comunità cristiane, osserva Righetto, oltre al discorso fondamentale della resurrezione dei corpi, “occorre accettare due sfide: il primato della cultura – e la riscoperta dell’immenso patrimonio teologico del cristianesimo – e la consapevolezza che l’evangelizzazione oggi si svolge anche attraverso il bello e il buono”. Tenendo però presente che “non c’è nulla di più lontano dal cristianesimo che l’ottimismo vuoto e il sentimentalismo che affligge tanti cattolici e che nasconde il male nel mondo”. Per esempio “La paccottiglia spirituale che imperversa nelle librerie religiose, oggi come ieri, quegli opuscoli edificanti tutti basati sui buoni sentimenti che edulcorano la realtà. C’è il rischio di una “sottocultura” nel mondo cattolico, per cui si guardano solo quei film o si leggono quei libri che dicono bene del cristianesimo”.
Posto che la sfida per i credenti oggi sia anche e soprattutto culturale, divenendo sempre più evidente dinanzi alle attuali realtà sociali, per Righetto “occorrerebbe perciò che la Chiesa italiana tutta si facesse promotrice di un’iniziativa di largo respiro per superare l’attuale grave stato di stagnazione della cultura cattolica. Con l’avvertenza di evitare personalismi e voci uniche soliste, ma piuttosto cercando un lavoro di rete, di comunione e di alleanze. Senza invidie, gelosie o piccinerie”.
Si tratta di due significativi contributi, quelli di cui ho tentato di evidenziare i passi salienti, che hanno centrato appieno l’obiettivo di sollecitare ulteriori riflessioni e proposte. Ne sono conferma le numerose personalità della cultura che hanno risposto, i cui interventi sono facilmente reperibili nel sito di Avvenire. Chiaramente, non se ne può fare nemmeno un cenno di ciascuno. Ma merita sicuramente di leggerli, ciascuno, compiutamente. Per concludere, intendo comunque riferire almeno due asserzioni che mi sono apparse particolarmente significative: la prima, dall’intervento del filosofo Luigi Alici, già presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, secondo cui “Ogni cristiano oggi deve accettare di vivere e costruire la città con gli altri cittadini, insieme, senza però abbandonare la propria identità e la propria tradizione né rassegnarsi”; la seconda, dall’intervento di Giuseppina De Simone, filosofa delle religioni, che tra l’altro puntualizza che “Sottolineare il rapporto originario ed essenziale con la cultura, non vuol dire che la fede – e meno che mai la nostra fede in Cristo Gesù – sia destinata a essere un fattore identitario da rivendicare in una logica contrappositiva ed escludente”.