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Una «strategia locale» per le politiche familiari
Giorgio Campanini
Tutto fa ritenere, ormai, che l’avvio da parte del Governo di serie ed incisive politiche familiari non potrà avvenire che verso la fine di questa legislatura (magari quasi soltanto alla vigilia delle elezioni, con annunci destinati a trasformarsi in gesti concreti ad opera del successivo governo).
Il prolungarsi della crisi, e soprattutto l’emergenza-lavoro, sembrano non consentire quegli interventi di alto profilo che sarebbero necessari per un’incisiva azione di sostegno dei redditi familiari (sia che ciò avvenga con il 'quoziente', sia che si intervenga attraverso altre forme di erogazione di reddito). Oltre tutto, forti pressioni dei sindacati, e della stessa opinione pubblica, si esercitano in direzione della questione-lavoro, essa stessa, d’altra parte, determinante per lo stesso futuro delle famiglie, perché, quando il lavoro manca, tutto, o quasi, manca… Vi sarebbe da disperare, dunque, se non si aprisse invece un 'secondo fronte' sul quale - soprattutto in questa fase di crisi - concentrare gli sforzi di quanti non intendono abbandonare la famiglia al suo destino... 'Pensare localmente' è forse la nuova strategia da adottare - almeno per la rimanente parte dell’attuale legislatura - e ciò per due fondamentali ragioni.
La prima ragione è che esistono, in sede locale, importanti spazi di intervento, solo in parte attualmente occupati: in particolare per quanto riguarda tre settori particolarmente sensibili (l’edilizia abitativa, gli asili nido, in generale i servizi sociali).
La seconda ragione è che un serio e puntuale controllo sui bilanci comunali consente ad una vigile opinione pubblica di demitizzare il ricorrente non possumus attraverso un minuzioso e severo riscontro delle 'consulenze' inutili, delle costose spese di auto-promozione (e, spesso, di auto-incensamento…), degli emolumenti con vari accorgimenti gonfiati, a tutti i livelli.
Un attento e puntiglioso riscontro dei bilanci comunali consentirebbe ad un’opinione pubblica, e ad un associazionismo familiare, attenti e vigilanti di individuare non poche voci di spesa da abbattere a favore della famiglia; e molto probabilmente questa impietosa 'cura dimagrante' di certi bilanci comunali incontrerebbe il consenso della pubblica opinione. Ne potrebbero derivare - senza ulteriori oneri ma con intelligenti spostamenti dei bilanci risorse tutt’altro che marginali da utilizzare a favore delle famiglie.
I settori in cui investire risorse sono quelli dianzi indicati e da tempo individuati dagli specialisti delle politiche sociali. L’edilizia abitativa sia nella valorizzazione dei non pochi immobili comunali spesso vuoti o mai utilizzati, sia attraverso costruzione di nuove abitazioni o l’intervento a sostegno di quanti ricorrono alla contrazione di mutui. L’istituzione di asili nido non necessariamente per iniziativa diretta dei comuni, ma valorizzando iniziative nel settore non-profit, del privato e delle stesse aziende (oggi in Italia, soprattutto al Sud, si riscontrano vistose divaricazioni fra 'domanda' e 'offerta' di questo servizio, che appare di fatto indispensabile se si vuole incentivare il lavoro femminile, consentendo alle famiglie di acquisire un secondo reddito). Una rete di servizi sociali che alleggerisca almeno in parte gli oneri - non solo monetari - che gravano sulle famiglie con handicappati, disabili, anziani non autosufficienti.
C’è dunque la possibilità di aprire comunque una 'nuova fase' delle politiche familiari: forse meno ambiziosa di quella a suo tempo proposta nel Family day , ma probabilmente la sola nell’attuale contesto - che ha serie probabilità di successo: a condizione, tuttavia, che le famiglie, le loro associazioni, il variegato mondo che le circonda sappiano rimboccarsi le maniche e fare fino in fondo la loro parte.
Da Avvenire 13 febbraio 2010